REBUS BOOKS


RebusTV.com diventa editore e dedica un progetto "memoria" a Giuseppe Decollanz come eroe borghese della scuola e della pedagogia per l'infanzia.

L'intera trilogia delle "Storie di Montepeloso e della Basilicata" è ora disponibile su Amazon in formato eBook al prezzo simbolico di un euro. La prima tiratura cartacea dell'opera postuma "Baldassarre Arrivadopo" è stata interamente donata a tutti gli interveuti alla presentazione in occasione dell'anniversario dalla scomparsa dell'autore.

Solo la cultura e la memoria storica possono salvare il nostro Paese dal ripetersi degli errori già commessi in passato.

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La guerra siamo Noi

Pubblicato su Amazon e Google Play

“La guerra siamo noi! Siamo noi che ci troviamo sempre in mezzo a patire, a soffrire e a morire! C’è chi la fa e chi la subisce. Noi la patiamo!” (p. 9): era il pensiero quasi unanime dei montepelosani, che vissero la feroce occupazione germanica, l’arrivo liberatorio degli angloamericani con il suo carico di speranze per l’avvenire e l’immediato dopoguerra. 

Protagonista del libro è Pippinillo, un ragazzino intelligente ed intraprendente che, nonostante la sua età, della guerra conosce già l’aspetto più tragico: il suo papà Luigi, artigliere, è caduto dopo due mesi di guerra sul fronte albanese e la mamma Antonietta compie sacrifici inenarrabili per far crescere bene i tre figli, Pippinillo ed i suoi fratelli minori, Nicolino e Raffaelino, nato due mesi dopo la morte del padre. 



Molto struggenti i luoghi in cui l’Autore parla del padre di Pippinillo che “partito da Montepeloso, per partecipare alla varie guerre combattute da Mussolini, quando lui aveva soltanto tre anni, non aveva fatto in tempo a stamparlo nella memoria, non riusciva a ridisegnarlo né con gli occhi né con la mente” (p. 179): “non era più tornato, neppure in un cassetto di ossa da deporre e sistemare nel sacrario dei Caduti d’oltremare a Bari” (p. 198).



L’assenza del padre è surrogata per Pippinillo dalla figura del nonno materno: “Nonno Nicola era tutto per lui! […] Il nonno era il suo maestro, il suo tutore, colui che gli insegnava a impugnare la falce ed a tenere il passo con la paranza dei mietitori […] era l’uomo che aveva sostituito il padre, che dall’Albania non era più tornato. Pippinillo lo amava e lo temeva; cercava in tutti i modi di aiutarlo, si amareggiava quando da lui veniva rimproverato, ma non cessava mai di tenere gli occhi fissi su di lui mentre lavorava; si sentiva come un pulcino accovacciato sotto l’ala protettrice della chioccia quando gli posava la mano sulla testa e abbozzava una lieve e breve carezza. Quando stava vicino a lui e ascoltava la sua voce, si sentiva al sicuro e quasi dimenticava di essere un povero orfanello […]” (pp. 198 – 200). Pippinillo, invece, è un bambino vivace, leader di un gruppo di suoi coetanei con cui condivide giochi e vicende che assumono spesso i contorni di lotta per la sopravvivenza (pp. 20 – 23 e 131 - 146). 



Un libro, scritto in uno stile piano ed accessibile anche da ragazze e ragazzi preadolescenti: anzi, proprio loro dovrebbero essere stimolati – in primo luogo, dai docenti - a leggerlo al fine di acquisire, attraverso la narrazione rievocativa, quella coscienza storica, che è precondizione dell’educazione alla cittadinanza attiva, postulata dalle Indicazioni programmatiche per le scuole secondarie di primo e secondo grado. 



E’ un testo da leggere tutto d’un fiato, avvincente nella sua drammaticità reale: commovente è la conclusione della storia “Il falò di Santa Lucia”, che costituisce un punto di svolta nella storia della vita del bambino protagonista: “Pippinillo può andare in collegio […] Passarono solo tre giorni, il tempo di organizzare il viaggio e mettere insieme qualche straccio di corredo; poi mamma Antonietta, accompagnata dal fratello Michele, condusse Pippinillo in collegio. Seduto sul sedile di legno di un vagone delle Ferrovie Appulo-lucane, Pippinillo vide sfumare all’orizzonte le case, i monti, le vigne del paese dove aveva vissuto fino a quel momento. Mentre andava verso nuovi luoghi, capì che quell'allontanamento sarebbe stato definitivo, perché segnava la fine dei giochi, l’addio ai compagni e l’inizio di una nuova vita” (p. 171).


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I datteri di Giarabub

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Giuseppe Decollanz racconta le origini dell’affermarsi del fascismo come dittatura nelle vicende di Montepeloso/Irsina. L’originale titolo del volume deve il suo nome alla coltivazione ed alla commercializzazione del frutto tropicale nell’oasi di Giarabub, l’avamposto della colonizzazione italiana della Libia (unione della Tripolitania e della Cirenaica), al confine orientale con l’Egitto, occupato dalle truppe italiane il 7 febbraio del 1926 e tenuto fino al 1941, allorché fu conquistato dagli Inglesi che sconfissero gli uomini comandati dal colonnello Salvatore Castagna.

Le vicende narrate nel volume iniziano in una data ben precisa, la sera del 4 gennaio 1925, il giorno seguente di un celeberrimo discorso mussoliniano, pietra miliare nelle tappe di costruzione dello Stato fascista. “Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. [...] il Governo è abbastanza forte per stroncare in pieno definitivamente la sedizione dell'Aventino. L'Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa. Noi, questa tranquillità, questa calma laboriosa gliela daremo con l'amore, se è possibile, e con la forza, se sarà necessario.” 


Siamo nel momento in cui, dopo l‘uccisione di Giacomo Matteotti, la secessione dell’Aventino e lo sbandamento tra le fila del fascismo che ne seguì, Mussolini riafferma il proprio potere e consolida - attraverso un processo che sarebbe durato poco più di un anno, dal 1925 al 1926, mediante le cosiddette leggi ‘fascistissime’, note anche come leggi eccezionali del fascismo - la trasformazione di fatto dell'ordinamento del Regno d'Italia nel regime fascista, ossia in uno Stato totalitario dalla forte componente ideologica, di tipo nazionalista, centralista, statalista, corporativista ed imperialista. 


Il microcosmo di Montepeloso la ‘rossa’ è lo scenario paradigmatico di quello scontro tra democrazia e totalitarismo, tra opposte concezioni del mondo che si stava consumando in tutta Italia, essendo un paese dalle radicate tradizioni socialiste che elesse, ancora nel 1922, nonostante il dilagare della violenza politica dei fascisti, un sindaco socialista, Nicola Mitilde (cfr. La guerra siamo noi!, pp. 38-39), che fu tale fino alla trasformazione della carica in quella di podestà, di nomina regia. Con il ritorno alla democrazia, Irsina continuò ad essere governata costantemente da giunte ‘frontiste’ (come si diceva negli anni degli albori della Repubblica) e ‘rosse’ (cfr. La guerra siamo noi!, il capitolo “L’occupazione delle terre”, pp. 187-205). 


I datteri di Giarabub è, in un certo senso, la prosecuzione ideale del precedente volume: alle vicende della Montepeloso della metà degli anni ’20 del XX secolo Decollanz non guarda più attraverso gli occhi di un bambino protagonista – il Pippinillo de La guerra siamo noi!- ma da una visuale estrinseca, quella tipica dello storico: il volume, molto interessante ed affascinante, è una puntuale ricostruzione di un delitto nella forma del romanzo in cui il narratore è esterno alla vicenda, né vi partecipa, e la ricostruisce in modo analitico, dando rilievo ai ‘fatti’: “I fatti e gli eventi narrati in questo libro sono realmente accaduti in un paese della Basilicata oggi chiamato Irsina. I personaggi invece sono al tempo stesso immaginari e realmente esistiti, ricordati con notevole fedeltà ma descritti e raccontati con grande fantasia. Del resto, ciò che conta sono i fatti realmente accaduti e non certo coloro che per volontà del destino ad essi hanno preso parte” (p. 7).

Recensioni a cura di Carlo De Nitti


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Baldassarre Arrivadopo

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In questo terzo e ultimo capitolo delle "Storie di Montepeloso", Giuseppe Decollanz continua a raccontare le ragedie che la dittatura fascista di Benito Mussolini determinarono anche in Basilicata. Il testo infatti narra la drammatica vicenda umana di un giovane che, per dare un senso e una prospettiva alla propria vita, si arruola volontario nell'esercito di Cadorna e va a combattere sul fronte del Carso per la liberazione di Trento e Trieste. Rimane gravemente ferito e riporta mutilazioni che gli impediscono di vivere una vita normale. Aderisce, nella speranza di un riscatto sociale, al Partito Nazionale Fascista e per qualche tempo fa parte della redazione de “Il giornale d’Italia”, il quotidiano fondato e diretto da Benito Mussolini.



Il Fascismo sembra dare finalmente senso alla sua vita. Gli conferisce l’onorificenza di “Sciarpa Littorio”, simbolo di prestigio e di grande considerazione e lo nomina “commissario straordinario” con pieni poteri della sezione del Partito Fascista di Montepeloso, suo paese d’origine, con il compito di porre fine ai contrasti fra i maggiorenti del partito e, soprattutto, di soffocare e distruggere definitivamente ogni traccia di ideologia socialista fortemente radicata negli animi e nei cuori dei montepelosani. Quel paese “maledetto” non può continuare ad essere la “roccaforte rossa” della Basilicata e meno che mai continuare ad essere focolaio antifascista.



Persecuzioni, condanne al confino e delitti feroci contrassegnano la permanenza a Montepeloso del “commissario straordinario”. Di codesti fatti di sangue e della crescente opposizione al Fascismo, Baldassarre Arrivadopo viene ingiustamente ritenuto responsabile e condannato, infine, “all'esilio”. Dopo essere stato utilizzato come simbolo di patriottismo e di “fedeltà” al Fascismo, Baldassarre Arrivadopo subisce il destino di diventare una “vittima” tra le tante della dittatura mussoliniana.

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Educazione e Politica nel Pinocchio

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Il povero Babbino, stremato dalla permanenza nella pancia della balena, esita quando Pinocchio lo incita a tentare ancora la strada della fuga e della libertà. Ma il suo piccolo burattino insiste raccogliendo, in quel preciso momento, il testimone della maturità dei valori e della trasvalutazione.

Il Padre si abbandona alla volontà del figlio e finalmente saranno liberi. Nella parabola conclusiva delle Avventure di Carlo Collodi si racchiude uno dei tesori più preziosi che il giornalista e scrittore toscano ci ha lasciato in eredità: per diventare donne e uomini in carne ed ossa occorre compiere e comprendere un percorso verticale che, attraverso le avventure della vita, ci conduce infine a comprendere la differenza tra autonomia e emancipazione, tra avere la libertà ed essere pienamente liberi.

In questo libro, pubblicato nell'ormai lontano 1972, Giseppe Decollanz elabora e analizza il capolavoro collodiano sotto il profilo pedagogico e filosofico ricavando che le Avventure di Pinocchio sono le sfide della vita di tutti noi.



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Oltre Eboli,
la Basilicata negata

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Il libro che avete tra le mani, scritto da Giuseppe Decollanz nell'ultimo periodo della sua vita, vuole essere un guanto di sfida a quanti, tra letterati ed intellettuali, hanno nel tempo contribuito a tracciare un’immagine negativa del Mezzogiorno d’Italia. Carlo Levi, suo malgrado, con il suo “Cristo si è fermato ad Eboli” può essere annoverato tra essi. Ed è proprio a lui che si rivolge lo scrittore, per ribadire che esiste un’altra Basilicata oltre Eboli. Una Basilicata negata, appunto, che aspetta ancora di imboccare la via del riscatto. Questo non è solo un saggio, ma anche un appassionato racconto di fatti realmente accaduti che affondano le loro radici nella più autentica delle tradizioni socialiste e antifasciste.

Le tradizioni che hanno ispirato l’animo di Giuseppe Decollanz fino a fargli decidere di abbandonare la politica per dedicarsi solo ed unicamente alla tutela e all'istruzione dei bambini. Quei bambini che più di ogni manifesto politico o promessa elettorale rappresentano la più tangibile delle possibilità che abbiamo per costruire un futuro migliore per noi e per chi ci seguirà. La memoria storica, che in questo scritto è testimoniata, contribuirà a fare per loro da guida sulla retta via.
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