Il 17 maggio 2025, ricorre un anniversario fondamentale per la storia dei diritti umani e della comprensione della diversità: esattamente 35 anni fa, il 17 maggio 1990, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prese una decisione storica, rimuovendo l'omosessualità dalla sua classificazione internazionale delle malattie mentali (ICD). Un atto che segnò un punto di svolta cruciale, sancendo a livello scientifico ciò che il buon senso e il rispetto per la dignità umana avrebbero dovuto riconoscere da tempo: l'omosessualità non è una patologia, non è un disturbo, ma una delle molteplici e naturali espressioni dell'orientamento sessuale umano.
Solo 35 anni ci separano da un'epoca in cui l'amore tra persone dello stesso sesso veniva stigmatizzato, medicalizzato e considerato una devianza da "curare". Un periodo buio costellato di sofferenze, discriminazioni e tentativi fallimentari e spesso dannosi di "conversione". La decisione dell'OMS fu il risultato di anni di studi scientifici, di battaglie portate avanti dalle comunità LGBTQ+ e di una crescente consapevolezza nella comunità medica e scientifica internazionale.
Dalla patologizzazione alla celebrazione: il 17 maggio, Giornata Internazionale contro l'Omofobia
Proprio per commemorare questa storica svolta e per continuare a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di combattere ogni forma di pregiudizio e discriminazione basata sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, dal 2004 ogni 17 maggio si celebra la Giornata Internazionale contro l'Omofobia, la Bifobia e la Transfobia (IDAHOBIT). Questa giornata rappresenta un'occasione importante per riflettere sui progressi compiuti, ma anche sulle sfide ancora aperte.
Nonostante la rimozione dell'omosessualità dalla lista delle malattie mentali sia stata una vittoria fondamentale, la strada verso una piena uguaglianza e inclusione è ancora lunga. Troppe persone LGBTQ+ in tutto il mondo continuano a subire discriminazioni, violenze verbali e fisiche, e vedono negati i propri diritti fondamentali. Le leggi e le politiche discriminatorie, alimentate da stereotipi e pregiudizi radicati, persistono in molti paesi, causando sofferenza e marginalizzazione.
La coscienza di un cambiamento: un percorso ancora da completare
La presa di coscienza che l'omosessualità non è una malattia è un passo cruciale verso una società più giusta e inclusiva. Significa riconoscere la piena umanità e la pari dignità di ogni individuo, indipendentemente da chi ama. Significa abbandonare l'idea che esista un unico modo "normale" di vivere l'affettività e la sessualità.
Tuttavia, la consapevolezza a livello istituzionale non sempre si traduce automaticamente in un cambiamento culturale profondo. L'omofobia, la bifobia e la transfobia sono ancora presenti nel linguaggio comune, nelle dinamiche sociali e, purtroppo, anche nelle istituzioni. Per questo motivo, la celebrazione della Giornata Internazionale contro l'Omofobia, la Bifobia e la Transfobia rimane essenziale. È un momento per educare, sensibilizzare, denunciare le discriminazioni e promuovere una cultura del rispetto e dell'accoglienza.
Oggi, 35 anni dopo quella storica decisione dell'OMS, celebriamo un importante traguardo, ma rinnoviamo anche l'impegno a costruire un futuro in cui l'orientamento sessuale e l'identità di genere non siano più motivo di discriminazione, ma semplicemente una delle tante sfaccettature che arricchiscono la complessità e la bellezza dell'esperienza umana. La lotta per l'uguaglianza e i diritti LGBTQ+ continua, perché la piena coscienza e l'accettazione della diversità devono diventare la norma, non l'eccezione.