Quell’Italia che tace su Sakineh e sorride del Gheddafi show


di Daria Bignardi

La Francia schierata per salvare un’iraniana dalla lapidazione. Da noi, intanto...

A Sakineh Mohammadi Ashtiani, nella prigione iraniana di Tabriz dove è rinchiusa da cinque anni, sabato sera, 28 agosto, hanno chiesto le ultime volontà. Sakineh è in carcere da quando aveva 38 anni: oggi ne ha 43, e due figli ormai grandi. Uno di loro era presente mentre le infliggevano le 99 frustate che in Iran spettano alle adultere. Sakineh è stata condannata alla lapidazione ma la sua non è una storia eccezionale: ce ne sono tante come lei. Per ora è viva perché il tribunale iraniano ha deciso di rinviare l’esecuzione, non si sa fino a quando. In genere, appena non se ne parla più, appena non se ne scrive più, appena l’opinione pubblica internazionale se ne dimentica, i tribunali eseguono le condanne. 

 Per questo c’è poco da sfottere gli intellettuali francesi che firmano e manifestano per Sakineh: sarà gauche caviar, ma le stanno salvando la vita. Per ora.
Il codice penale iraniano è molto preciso sulla lapidazione. «Le pietre usate non devono essere troppo grandi da uccidere subito il condannato né troppo piccole da non poter essere considerate pietre». Anche la procedura è meticolosa: la vittima è avvolta in un sudario, collocata dentro una grossa buca scavata nel terreno e ricoperta di terra fino al petto. Se l’adulterio è stato dimostrato in tribunale attraverso una confessione, è il giudice a dover scagliare la prima pietra. Se invece è stato dimostrato attraverso dei testimoni oculari, sono loro a iniziare per primi. Seguiti dai giudici e dalle altre persone presenti, che non possono essere meno di tre.

La parola zina significa adulterio, ma viene usata per qualunque atto sessuale considerato illegale: adulterio (sesso tra due persone sposate), fornicazione (sesso tra due persone non sposate), sodomia, stupro e incesto, tanto che ci sono stati casi in cui vittime di stupri sono state accusate di zina e poi condannate alla lapidazione per adulterio. Stuprate e poi lapidate.
Gli uomini molto raramente sono accusati di adulterio e, nella maggior parte dei casi, sono proprio mariti o padri gelosi a ricorrere alla legge della zina per punire mogli o figlie. Mentre in Francia il ministro degli Esteri minaccia sanzioni all’Iran e il presidente Sarkozy (che con l’altra mano caccia i rom dal Paese) dichiara che Sakineh è «sotto la sua responsabilità» per tentare di fermare la condanna a morte, da noi, mentre scriviamo, la mattina di lunedì 30 agosto – ma si spera che l’assenza verrà presto colmata – non si registrano prese di posizione ufficiali del governo, impegnato invece a ricevere con tutti gli onori il leader libico Gheddafi che, arrivato a Roma, ha ritenuto di invitare le centinaia di ragazze, convocate da un’agenzia di hostess, a convertirsi all’Islam, ma non ha ritenuto (per ora) di rispondere a domande sulla lapidazione e la condizione femminile nei Paesi musulmani.

Il quotidiano Repubblica si associa ai giornali francesi Libération ed Elle, che stanno raccogliendo firme contro l’esecuzione. Conterà poco, ma che cosa altro possiamo fare, oltre a chiedere a gran voce al nostro governo di prendere posizione al più presto come sta facendo il resto d’Europa? Io ho firmato.









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