Un Paese sempre più vecchio e senza ricambio generazionale
L'invecchiamento della popolazione emerge come la tendenza più marcata. Per la prima volta nella storia recente, gli ultraottantenni (4,6 milioni) superano numericamente i bambini sotto i 10 anni (4,3 milioni). Questo dato, impressionante nella sua immediatezza, sottolinea un indice di vecchiaia che vede ormai 193 anziani ogni 100 giovani, con un indice di dipendenza degli anziani che sfiora il 39%. Un Paese dove il peso della popolazione anziana grava sempre più sulla forza lavoro, con un basso tasso di natalità che non riesce a garantire un adeguato ricambio generazionale. La conseguenza diretta è un tessuto familiare meno robusto nel supportare l'invecchiamento dei propri cari, riversando un onere crescente sui servizi sanitari e di assistenza, già messi a dura prova.
Fragilità economica e gap formativo: un circolo vizioso
Accanto all'allarme demografico, il Rapporto Istat evidenzia una persistente fragilità economica. Sebbene il PIL italiano abbia registrato una crescita dello 0,7% nel 2024, le previsioni per il 2025 mostrano un rallentamento. La ripresa del potere d'acquisto delle famiglie è ancora parziale, e il rapporto sottolinea la presenza di ampie fasce di popolazione in condizione di povertà o a rischio di esclusione sociale, numeri che non accennano a diminuire significativamente.
A incidere profondamente su questa vulnerabilità è il persistente divario nel livello di istruzione. Il dato più preoccupante è che circa un terzo della popolazione in età da lavoro (25-64 anni), ovvero il 34,5%, possiede al massimo la licenza media. Questa percentuale è ben al di sopra della media europea e si traduce in una ridotta capacità di accedere a lavori qualificati e meglio retribuiti. La suddivisione per genere all'interno di questo gruppo è particolarmente critica: il Rapporto Istat rivela che il tasso di occupazione delle donne con al massimo la licenza media è di ben 28 punti percentuali inferiore rispetto a quello degli uomini con lo stesso livello di istruzione, evidenziando una doppia vulnerabilità.
Le ombre sul futuro: dipendenza, disinformazione e democrazia
Le implicazioni di questo quadro sono molteplici e profonde. Una popolazione più anziana e con un basso livello di istruzione è intrinsecamente più dipendente da servizi sanitari e di sostegno. Al contempo, il deficit formativo rende ampie fasce della popolazione più fragili e vulnerabili alla disinformazione e alle fake news, riducendo la capacità di discernimento critico in un'era dominata dal flusso ininterrotto di notizie.
In un futuro prossimo, con l'avanzamento dell'intelligenza artificiale, le funzioni lavorative più ripetitive e a basso valore intellettuale aggiunto saranno le prime a essere impattate. Un terzo della forza lavoro con un grado di istruzione limitato si trova quindi ad alto rischio di esclusione o riqualificazione forzata, aumentando la potenziale instabilità sociale ed economica.
Infine, l'Istat, pur con il linguaggio asettico della statistica, solleva un quesito fondamentale per la tenuta democratica del Paese. Un basso livello di istruzione, combinato con fragilità e vulnerabilità socio-economiche, può teoricamente incidere sulla capacità di preservare la democrazia attraverso una partecipazione attiva e consapevole alle dinamiche politiche. Un Paese che invecchia, non investe sufficientemente sull'istruzione e presenta sacche di vulnerabilità, rischia di compromettere non solo il proprio benessere economico, ma anche la robustezza del proprio tessuto democratico.
Il Rapporto Istat 2025 può essere consultato e scaricato qui: LINK